E’ stata proprio una grandiosa cerimonia, con un eccellente concerto, quella di domenica scorsa… nella straordinaria cornice del Duomo Vecchio di Brescia, chiamato La Rotonda, con un afflusso di persone appassionate mai visto prima… e sappiamo che qui tre Amici della Rocca ci hanno messo del loro; oggi vorremmo parlare di uno straordinario ritrovamento “dialettale” ritrovato proprio durante i lavori.

Duomo Vecchio gremito

Alla presenza delle massime autorità religiose, politiche, associative e culturali, Vescovo e Sindaca di BS compresi, è stato dato il giusto tributo al restauro del gigantesco complesso dell’organo cinquecentesco dell’Antegnati… e già sappiamo che il protagonista assoluto di questo intervento è stato il nostro Amico della Rocca restauratore arch. Paolo Mariani: il suo restauro ha riguardato le 4 grandiose tele del Romanino, la balaustra, la raffinatissima cassa realizzata dal Piantavigna, e i preziosi affreschi, da lui stesso scoperti, sulle pareti ai lati dell’organo, sempre del Romanino.

Il complesso monumentale dell’organo del ‘500 – le ANTE APERTE (come le chiuse) sono interamente ricoperte dalle 4 tele del Romanino (5m x 2.5m ciascuna)

Organo ad ANTE CHIUSE: le tele e gli affreschi (scoperti e restaurati da Paolo Mariani) si integrano nella straordinaria scenografia ideata dal Romanino

Fra le tante sorprese di questo importante lavoro, ce n’è una che, per cultori del dialetto come noi AdR, ci ha veramente emozionato… ma prima riassumiamo il contesto…

Come scritto nel post precedente, fu lo stesso Paolo Mariani a chiedermi di preparare una proposta progettuale per ricomporre le ante con le tele del Romanino, che erano state tolte nell’800, e poi di ancorarle alle colonne lignee, alte 5 m, per poterle chiudere ed aprire, ruotando colonne e ante come avveniva nel ‘500… Ma i pesi erano più che triplicati perché bisognava per forza costruire un sottile telaio d’acciaio che le potesse unire e reggere, e inoltre le colonne lignee erano fessurate e bloccate a causa dei rimaneggiamenti avvenuti ai primi dell’800… e tanti problemi ancora.

Insomma il lavoro era di quelli da far tremare i polsi, vista la sacralità del luogo e la straordinaria importanza storico artistica del contesto e confesso che non ci ho dormito per un po’ di notti, ma alla fine mi parve di intravedere la soluzione, ed addirittura capii che avrei potuto anche automatizzare il movimento delle ante, azionandole anche con un telecomando. La proposta venne accetta e non persi tempo: chiamai a collaborare alla progettazione due colleghi speciali, il terzo Amico della Rocca ing. Stefano Cademartori, ed il prof.ing. Paolo Riva.

Mi assicurai di contare poi su ditte di alto profilo per eseguire il lavoro e si aggiunsero, nel singolare cantiere, Oscar Andreoli della Vepal (realizzatore della trasmissione e delle complesse e sottilissime strutture in acciaio) e Ugo Gelmi di Elettroimpianti RL (impianto elettrico e software per gestire i motori a mezzo di inverter e micro-plc per modulare al meglio velocità e accelerazioni)… e fu così che, dopo tre mesi bollenti di lavori anche domenicali, il tutto venne puntualmente consegnato a fine settembre.
Osservo che organo, tele e affreschi vennero realizzati in pieno Rinascimento, epoca che ha visto la nascita della scienza moderna e un conseguente poderoso impulso a tecnica e tecnologia; già da tempo, allora, esistevano meccanismi straordinariamente complessi, in grado di movimentare orologi spettacolari e addirittura automi antropomorfi in grado di stupire gli ospiti delle corti europee con i loro complessi movimenti. Per cui l’automazione delle ante, a dispetto di un certo purismo preconcetto, mi pare perfettamente e filologicamente giustificata e in linea con lo spirito di quel tempo.

il biglietto di Pasì da Pasirà (Pasino da Passirano), nascosto nelle colonne cave

Ma qui vorrei chiudere con un altro essenziale artefice del nostro progetto, che ci ha preceduto di 500 anni e che ci ha emozionato tutti con uno specialissimo biglietto scritto in dialetto bresciano dell’epoca: si tratta dell’ormai famoso Pasì da Pasirà, che ha realizzato con bravura e genialità quelle colonne lignee di 5 m con una cavità passante per tutta la lunghezza, così che noi abbiamo potuto posizionare alberi d’acciaio e giunti senza che nulla si percepisca dall’esterno.

Le gigantesche colonne lignee appena smontate, in cui Paolo e Marco Mariani hanno rinvenuto il biglietto nascosto 500 anni fa

Mi sembra di vederlo Pasì, in quel 12 aprile del 1538, mentre ripiega con cura il suo foglietto e, tra modestia e segretezza, lo nasconde nella base del suo pilastro, come a volerlo imbucare in un tenue presagio da soffiare verso i secoli a venire; vorrei ringraziarlo e, da artigiani a artigiano, assicurarlo che il messaggio è giunto a destinazione e che tutti noi abbiamo cercato di raccoglierlo e di onorarlo al massimo delle nostre possibilità. Grazie Pasì!

Alla prossima, Mauro Belviolandi

P.S.: la prossima riguarderà gli attesi Matèi (ancora in attesa del parere della Soprintendenza), ma anche le nuove iniziative degli Amici della Rocca

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